"Il minuscolo borgo di Monteruga
sorge durante il ventennio fascista e,
con le sue case, la scuola e la chiesa,
è solo un puntino nelle campagne di Veglie (Le),
che volgono dolcemente verso il Mar Jonio.
Insieme alla Dott.sa Patrizia Mattioli di Guidapsicologi.it
entriamo nel merito delle dinamiche sociali e psicologiche che si
creano intorno ai casi di violenza di genere.
Cosa avviene nella mente della vittima e dell’aggressore?
Perché le donne non denunciano?
Quali sono i meccanismi psicologici che si nascondono
dietro alla paura di chi tace e sopporta?
Come riconoscere e contrastare la violenza psicologica?
Solo attraverso gesti effettivi come la denuncia,
l’ascolto attivo e un lavoro di formazione rivolto alle nuove generazioni
si potranno scardinare meccanismi secolari e rendere
alla donna la dignità che le spetta.
Quali sono i segnali che indicano che una donna è vittima di violenza di genere
«I segnali possono essere di natura fisica, psicologica o essere intuiti
da atteggiamenti bizzarri e incoerenti.
La presenza di ferite, lividi o altri segnali sul corpo, ricorrenti e spiegati con reticenza sono sicuramente un indicazione. Poi ci sono i segnali più psicologici: cambiamento dell’umore, tendenza a spaventarsi anche di fronte a stimoli apparentemente neutri, diffidenza verso chi fa domande, ritiro e isolamento sociale anche rispetto alle persone più significative come genitori e cari amici. L’isolamento sociale ha la doppia funzione: di accondiscendere le richieste del partner violento che spesso spinge a isolarsi. Di nascondere agli altri (e a se stesse) i segni e la gravità di quello che accade e di cui ci si vergogna.» spiega Mattioli.
Ecco un pratico elenco per aiutarci a riconoscere le manifestazioni più diffuse di violenza di genere
Dipendenza affettiva: perché la vittima non si allontana dal proprio carnefice
«Spesso si tratta di relazioni caratterizzate dalla dipendenza affettiva. Il partner che poi si rivela violento è stato inizialmente (e lo è generalmente dopo ogni episodio violento) amorevole e premuroso e c’è la difficoltà di integrare i due atteggiamenti.
È come se di fronte all’atteggiamento affettuoso la donna si
dimenticasse che è la stessa persona che le ha fatto del male, tendendo a
giustificare i motivi della violenza o attribuirsene la
responsabilità.» Ma perché non si denuncia? «Molte volte non si denunciano le violenze proprio perché si ritiene di averle in qualche modo provocate. Non si denuncia anche per la paura di
ulteriori ritorsioni, per non rendere di dominio pubblico il problema,
per la difficoltà di ammettere con le persone care di aver sbagliato,
soprattutto nelle scelte fatte contro il parere della famiglia o delle
amiche, altre volte per la paura di non essere credute, per la scarsa fiducia nella possibilità di essere aiutate.» afferma la dott.sa Mattioli.
Fotografare era la mia passione: mi consideravo soddisfatto solo quando riuscivo a far "parlare" la fotografia.
Dedicavo gran parte del mio tempo a realizzare scatti, sempre con l'intento di cogliere l'attimo negli eventi, nelle cose e nelle manifestazioni più varie della natura.
Amo la spontaneità e mi affido all'intuizione.
I risultati migliori infatti li ottenevo quando fotografo all'insaputa del soggetto, e la foto è pura espressività.
Infine, penso alla fotografia come ad un'arte che matura e si evolve attraverso la passione, l'impegno e a una continua ricerca.
La fotografia è anche, un dettaglio della Vita, poter rivivere con serenità i ricordi di un momento particolare.