MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
XLVII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
XLVII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1°
GENNAIO 2014
FRATERNITÀ, FONDAMENTO E VIA PER LA PACE
1. In questo mio primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, desidero
rivolgere a tutti, singoli e popoli, l’augurio di un’esistenza colma di gioia e
di speranza. Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna alberga, infatti, il
desiderio di una vita piena, alla quale appartiene un anelito insopprimibile
alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali
troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere ed abbracciare.
Infatti, la fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un
essere relazionale.
La viva consapevolezza di questa relazionalità ci porta a
vedere e trattare ogni persona come una vera sorella e un vero fratello; senza
di essa diventa impossibile la costruzione di una società giusta, di una pace
solida e duratura. E occorre subito ricordare che la fraternità si comincia ad
imparare solitamente in seno alla famiglia, soprattutto grazie ai ruoli
responsabili e complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e
della madre. La famiglia è la sorgente di ogni fraternità, e perciò è anche il
fondamento e la via primaria della pace, poiché, per vocazione, dovrebbe
contagiare il mondo con il suo amore.
Il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che
avviluppano il nostro pianeta rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e
della condivisione di un comune destino tra le Nazioni della terra. Nei
dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle
culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da
fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri.
Tale vocazione è però ancor oggi spesso contrastata e smentita nei fatti, in un
mondo caratterizzato da quella “globalizzazione dell’indifferenza” che ci fa
lentamente “abituare” alla sofferenza dell’altro, chiudendoci in noi stessi.
In tante parti del mondo, sembra non conoscere sosta la grave lesione dei
diritti umani fondamentali, soprattutto del diritto alla vita e di quello alla
libertà di religione. Il tragico fenomeno del traffico degli esseri umani, sulla
cui vita e disperazione speculano persone senza scrupoli, ne rappresenta un
inquietante esempio. Alle guerre fatte di scontri armati si aggiungono guerre
meno visibili, ma non meno crudeli, che si combattono in campo economico e
finanziario con mezzi altrettanto distruttivi di vite, di famiglie, di imprese.
La globalizzazione, come ha affermato
Benedetto XVI, ci rende vicini, ma non ci
rende fratelli.
Inoltre, le molte situazioni di sperequazione, di povertà e di
ingiustizia, segnalano non solo una profonda carenza di fraternità, ma anche
l’assenza di una cultura della solidarietà. Le nuove ideologie, caratterizzate
da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico,
indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello “scarto”, che
induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli, di coloro che vengono
considerati “inutili”. Così la convivenza umana diventa sempre più simile a un
mero do ut des pragmatico ed egoista.
In pari tempo appare chiaro che anche le etiche contemporanee risultano incapaci
di produrre vincoli autentici di fraternità, poiché una fraternità priva del
riferimento ad un Padre comune, quale suo fondamento ultimo, non riesce a
sussistere.
Una vera fraternità
tra gli uomini suppone ed esige una paternità trascendente.
A partire dal
riconoscimento di questa paternità, si consolida la fraternità tra gli uomini,
ovvero quel farsi “prossimo” che si prende cura dell’altro.
«Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9)
2. Per comprendere meglio questa vocazione dell’uomo alla fraternità, per
riconoscere più adeguatamente gli ostacoli che si frappongono alla sua
realizzazione e individuare le vie per il loro superamento, è fondamentale farsi
guidare dalla conoscenza del disegno di Dio, quale è presentato in maniera
eminente nella Sacra Scrittura.
Secondo il racconto delle origini, tutti gli uomini derivano da genitori comuni,
da Adamo ed Eva, coppia creata da Dio a sua immagine e somiglianza (cfr Gen
1,26), da cui nascono Caino e Abele. Nella vicenda della famiglia primigenia
leggiamo la genesi della società, l’evoluzione delle relazioni tra le persone e
i popoli.
Abele è pastore, Caino è contadino. La loro identità profonda e, insieme, la
loro vocazione, è quella di essere fratelli, pur nella diversità della
loro attività e cultura, del loro modo di rapportarsi con Dio e con il creato. Ma l’uccisione di
Abele da parte di Caino attesta tragicamente il rigetto
radicale della vocazione ad essere fratelli.
La loro vicenda (cfr Gen
4,1-16) evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di
vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro. Caino, non accettando la
predilezione di Dio per Abele, che gli offriva il meglio del suo gregge – «il
Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta» (Gen
4,4-5) – uccide per invidia Abele. In questo modo rifiuta di riconoscersi
fratello, di relazionarsi positivamente con lui, di vivere davanti a Dio,
assumendo le proprie responsabilità di cura e di protezione dell’altro. Alla
domanda «Dov’è tuo fratello?», con la quale Dio interpella Caino, chiedendogli
conto del suo operato, egli risponde: «Non lo so.
Sono forse il guardiano di mio fratello?» (Gen 4,9).
Poi,
ci dice la Genesi, «Caino si allontanò dal Signore» (4,16).
Occorre interrogarsi sui motivi profondi che hanno indotto Caino a misconoscere
il vincolo di fraternità e, assieme, il vincolo di reciprocità e di comunione
che lo legava a suo fratello Abele. Dio stesso denuncia e rimprovera a Caino una
contiguità con il male: «il peccato è accovacciato alla tua porta» (Gen
4,7). Caino, tuttavia, si rifiuta di opporsi al male e decide di alzare
ugualmente la sua «mano contro il fratello Abele» (Gen 4,8), disprezzando
il progetto di Dio. Egli frustra così la sua originaria vocazione ad essere
figlio di Dio e a vivere la fraternità.
Il racconto di Caino e Abele insegna che l’umanità porta inscritta in sé una
vocazione alla fraternità, ma anche la possibilità drammatica del suo
tradimento. Lo testimonia l’egoismo quotidiano, che è alla base di tante guerre
e tante ingiustizie: molti uomini e donne muoiono infatti per mano di fratelli e
di sorelle che non sanno riconoscersi tali, cioè come esseri fatti per la
reciprocità, per la comunione e per il dono.
«E voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8)
3. Sorge spontanea la domanda: gli uomini e le donne di questo mondo potranno
mai corrispondere pienamente all’anelito di fraternità, impresso in loro da Dio
Padre? Riusciranno con le loro sole forze a vincere l’indifferenza, l’egoismo e
l’odio, ad accettare le legittime differenze che caratterizzano i fratelli e le
sorelle?
Parafrasando le sue parole, potremmo così sintetizzare la risposta che ci dà il
Signore Gesù: poiché vi è un solo Padre, che è Dio, voi siete tutti fratelli
(cfr Mt 23,8-9). La radice della fraternità è contenuta nella paternità
di Dio. Non si tratta di una paternità generica, indistinta e storicamente
inefficace, bensì dell’amore personale, puntuale e straordinariamente concreto
di Dio per ciascun uomo (cfr Mt 6,25-30). Una paternità, dunque,
efficacemente generatrice di fraternità, perché l’amore di Dio, quando è
accolto, diventa il più formidabile agente di trasformazione dell’esistenza e
dei rapporti con l’altro, aprendo gli uomini alla solidarietà e alla
condivisione operosa.
In particolare, la fraternità umana è rigenerata in e da Gesù
Cristo con la sua morte e risurrezione. La croce è il “luogo” definitivo di
fondazione della fraternità, che gli uomini non sono in grado di generare da
soli. Gesù Cristo, che ha assunto la natura umana per redimerla, amando il Padre
fino alla morte e alla morte di croce (cfr Fil 2,8), mediante la sua
risurrezione ci costituisce come umanità nuova, in piena comunione con la
volontà di Dio, con il suo progetto, che comprende la piena realizzazione della
vocazione alla fraternità.
Gesù riprende dal principio il progetto del Padre, riconoscendogli il primato su
ogni cosa. Ma il Cristo, con il suo abbandono alla morte per amore del Padre,
diventa principio nuovo e definitivo di tutti noi, chiamati a
riconoscerci in Lui come fratelli perché figli dello stesso Padre. Egli è
l’Alleanza stessa, lo spazio personale della riconciliazione dell’uomo con Dio e
dei fratelli tra loro. Nella morte in croce di Gesù c’è anche il superamento
della separazione tra popoli, tra il popolo dell’Alleanza e il popolo dei
Gentili, privo di speranza perché fino a quel momento rimasto estraneo ai patti
della Promessa. Come si legge nella Lettera agli Efesini, Gesù Cristo è colui
che in sé riconcilia tutti gli uomini. Egli è la pace, poiché dei due
popoli ne ha fatto uno solo, abbattendo il muro di separazione che li divideva,
ovvero l’inimicizia. Egli ha creato in se stesso un solo popolo, un solo uomo
nuovo, una sola nuova umanità
(cfr 2,14-16).
Chi accetta la vita di Cristo e vive in Lui, riconosce Dio come Padre e a Lui
dona totalmente se stesso, amandolo sopra ogni cosa. L’uomo riconciliato vede in
Dio il Padre di tutti e, per conseguenza, è sollecitato a vivere una fraternità
aperta a tutti. In Cristo, l’altro è accolto e amato come figlio o figlia di
Dio, come fratello o sorella, non come un estraneo, tantomeno come un
antagonista o addirittura un nemico. Nella famiglia di Dio, dove tutti sono
figli di uno stesso Padre, e perché innestati in Cristo, figli nel Figlio,
non vi sono “vite di scarto”. Tutti godono di un’eguale ed intangibile dignità.
Tutti sono amati da Dio, tutti sono stati riscattati dal sangue di Cristo, morto
in croce e risorto per ognuno.
È questa la ragione per cui non si può rimanere
indifferenti davanti alla sorte dei fratelli.
La fraternità, fondamento e via per la pace
4. Ciò premesso, è facile comprendere che la fraternità è fondamento e
via per la pace. Le Encicliche sociali dei miei Predecessori offrono un
valido aiuto in tal senso.
Sarebbe sufficiente rifarsi alle definizioni di pace
della Populorum progressio
di
Paolo VI o della Sollicitudo rei
socialis di Giovanni Paolo II.
Dalla prima ricaviamo che lo sviluppo
integrale dei popoli è il nuovo nome della pace.
Paolo VI
afferma che non soltanto le persone, ma anche le Nazioni
debbono
incontrarsi in uno spirito di fraternità.
E spiega: «In questa comprensione e
amicizia vicendevoli, in questa comunione sacra noi dobbiamo […] lavorare
assieme per edificare l’avvenire comune dell’umanità»
Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono
radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presentano sotto un
triplice aspetto: il dovere di solidarietà, che esige che le Nazioni ricche aiutino quelle meno progredite;
il dovere di giustizia sociale, che richiede il ricomponimento in
termini più corretti delle relazioni difettose tra popoli forti e popoli deboli;
il dovere di carità universale, che implica la promozione di un mondo più
umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da
ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo
degli altri.
Così, se si considera la pace come opus solidaritatis,
allo stesso modo, non si può
pensare che la fraternità
non ne sia il fondamento
precipuo.
La pace, afferma
Giovanni Paolo II,
è un bene indivisibile.
O è bene di tutti o non lo è
di nessuno.
Essa può essere realmente conquistata e fruita, come miglior qualità
della vita e come sviluppo più umano e sostenibile, solo se si attiva, da parte
di tutti, «una determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene
comune».
Ciò implica di non farsi
guidare dalla «brama del profitto» e dalla «sete del potere».
Occorre avere la
disponibilità a «“perdersi” a favore dell’altro invece di sfruttarlo, e a
“servirlo” invece di opprimerlo per il proprio tornaconto. […] L’“altro”
– persona, popolo o Nazione – [non va visto] come uno strumento
qualsiasi, per sfruttare a basso costo la sua capacità di lavoro e la resistenza
fisica, abbandonandolo poi quando non serve più, ma come un nostro “simile”, un
“aiuto”»
La solidarietà cristiana presuppone che il prossimo sia amato non solo
come «un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza
davanti a tutti, ma [come] viva immagine di Dio Padre, riscattata dal
sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito Santo»,
come un altro fratello. «Allora la coscienza della paternità comune di
Dio, della fraternità di tutti gli uomini in Cristo, “figli nel Figlio”, della
presenza e dell’azione vivificante dello Spirito Santo, conferirà – rammenta
Giovanni Paolo II – al nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio
per interpretarlo», per
trasformarlo.
Fraternità, premessa per sconfiggere la povertà
5. Nella
Caritas in veritate il
mio Predecessore ricordava al mondo
come la mancanza di
fraternità tra i popoli e gli uomini sia una causa importante della povertà.
fraternità tra i popoli e gli uomini sia una causa importante della povertà.
In molte società sperimentiamo una profonda povertà relazionale dovuta
alla carenza di solide relazioni familiari e comunitarie. Assistiamo con
preoccupazione alla crescita di diversi tipi di disagio, di emarginazione, di
solitudine e di varie forme di dipendenza patologica. Una simile povertà può
essere superata solo attraverso la riscoperta e la valorizzazione di rapporti
fraterni in seno alle famiglie e alle comunità, attraverso la condivisione
delle gioie e dei dolori, delle difficoltà e dei successi che accompagnano la
vita delle persone.
Inoltre, se da un lato si riscontra una riduzione della povertà assoluta,
dall’altro lato non possiamo non riconoscere una grave crescita della povertà
relativa, cioè di diseguaglianze tra persone e gruppi che convivono in una
determinata regione o in un determinato contesto storico-culturale. In tal
senso, servono anche politiche efficaci che promuovano il principio della
fraternità, assicurando alle persone - eguali nella loro dignità e nei loro
diritti fondamentali - di accedere ai “capitali”, ai servizi, alle risorse
educative, sanitarie, tecnologiche affinché ciascuno abbia l’opportunità di
esprimere e di realizzare il suo progetto di vita, e possa svilupparsi in
pienezza come persona.
Si ravvisa anche la necessità di politiche che servano ad attenuare una
eccessiva sperequazione del reddito. Non dobbiamo dimenticare l’insegnamento
della Chiesa sulla cosiddetta ipoteca sociale, in base alla quale se è
lecito, come dice san Tommaso d’Aquino, anzi necessario «che l’uomo abbia la
proprietà dei beni», quanto
all’uso, li «possiede non solo come propri, ma anche come comuni, nel senso che
possono giovare non unicamente a lui ma anche agli altri».
Infine, vi è un ulteriore modo di promuovere la fraternità - e così sconfiggere
la povertà - che dev’essere alla base di tutti gli altri. È il distacco di chi
sceglie di vivere stili di vita sobri ed essenziali, di chi, condividendo le
proprie ricchezze, riesce così a sperimentare la comunione fraterna con gli
altri. Ciò è fondamentale per seguire Gesù Cristo ed essere veramente cristiani.
È il caso non solo delle persone consacrate che professano voto di povertà, ma
anche di tante famiglie e tanti cittadini responsabili, che credono fermamente
che sia la relazione fraterna con il prossimo a costituire il bene più prezioso.
La riscoperta della fraternità nell’economia
6. Le gravi crisi
finanziarie ed economiche
contemporanee - che trovano
la loro origine nel
progressivo allontanamento
dell’uomo da Dio e dal
prossimo, nella ricerca
avida di beni materiali, da
un lato, e nel
depauperamento delle
relazioni interpersonali e
comunitarie dall’altro -
hanno spinto molti a
ricercare la soddisfazione,
la felicità e la sicurezza
nel consumo e nel guadagno
oltre ogni logica di una
sana economia.
Già nel 1979
Giovanni Paolo II
avvertiva l’esistenza di «un reale e percettibile pericolo che, mentre progredisce enormemente il dominio
da parte dell’uomo sul mondo delle cose, di questo suo dominio egli perda i fili
essenziali, e in vari modi la sua umanità sia sottomessa a quel mondo, ed egli
stesso divenga oggetto di multiforme, anche se spesso non direttamente
percettibile, manipolazione, mediante tutta l’organizzazione della vita
comunitaria, mediante il sistema di produzione, mediante la pressione dei mezzi
di comunicazione sociale».
Il succedersi delle crisi economiche deve portare agli opportuni ripensamenti
dei modelli di sviluppo economico e a un cambiamento negli stili di vita. La crisi odierna,
pur con il suo grave retaggio per la vita delle persone, può
essere anche un’occasione propizia per recuperare le virtù della prudenza, della
temperanza, della giustizia e della fortezza. Esse ci possono aiutare a superare
i momenti difficili e a riscoprire i vincoli fraterni che ci legano gli uni agli
altri, nella fiducia profonda che l’uomo ha bisogno ed è capace di qualcosa in
più rispetto alla massimizzazione del proprio interesse individuale. Soprattutto
tali virtù sono necessarie per costruire e mantenere una società a misura della
dignità umana.
La fraternità spegne la guerra
7. Nell’anno trascorso, molti nostri fratelli e sorelle hanno continuato a
vivere l’esperienza dilaniante della guerra, che costituisce una grave e
profonda ferita inferta alla fraternità.
Molti sono i conflitti che si consumano nell’indifferenza generale. A tutti
coloro che vivono in terre in cui le armi impongono terrore e distruzioni,
assicuro la mia personale vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Quest’ultima ha
per missione di portare la carità di Cristo anche alle vittime inermi delle
guerre dimenticate, attraverso la preghiera per la pace, il servizio ai feriti,
agli affamati, ai rifugiati, agli sfollati e a quanti vivono nella paura. La
Chiesa alza altresì la sua voce per far giungere ai responsabili il grido di
dolore di quest’umanità sofferente e per far cessare, insieme alle ostilità,
ogni sopruso e violazione dei diritti fondamentali dell’uomo
.
Per questo motivo desidero rivolgere un forte appello a quanti con le armi
seminano violenza e morte: riscoprite in colui che oggi considerate solo un
nemico da abbattere il vostro fratello e fermate la vostra mano! Rinunciate alla
via delle armi e andate incontro all’altro con il dialogo, il perdono e la
riconciliazione per ricostruire la giustizia, la fiducia e la speranza intorno a
voi! «In quest’ottica, appare chiaro che nella vita dei popoli i conflitti
armati costituiscono sempre la deliberata negazione di ogni possibile concordia
internazionale, creando divisioni profonde e laceranti ferite che richiedono
molti anni per rimarginarsi. Le guerre costituiscono il rifiuto pratico a
impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali che la
comunità internazionale si è data».
Tuttavia, finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in circolazione
come quella attuale, si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le
ostilità. Per questo faccio mio l’appello dei miei Predecessori in favore della
non proliferazione delle armi e del disarmo da parte di tutti, a cominciare dal
disarmo nucleare e chimico.
Non possiamo però non constatare che gli accordi internazionali e le leggi
nazionali, pur essendo necessari ed altamente auspicabili, non sono sufficienti
da soli a porre l’umanità al riparo dal rischio dei conflitti armati. È
necessaria una conversione dei cuori che permetta a ciascuno di riconoscere
nell’altro un fratello di cui prendersi cura, con il quale lavorare insieme per
costruire una vita in pienezza per tutti. È questo lo spirito che anima molte
delle iniziative della società civile, incluse le organizzazioni religiose, in
favore della pace. Mi auguro che l’impegno quotidiano di tutti continui a
portare frutto e che si possa anche giungere all’effettiva applicazione nel
diritto internazionale del diritto alla pace, quale diritto umano fondamentale,
pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti.
La corruzione e il crimine organizzato avversano la fraternità
8. L’orizzonte della fraternità rimanda alla crescita in pienezza di ogni uomo e
donna.
Le giuste ambizioni di una persona, soprattutto se giovane, non vanno
frustrate e offese, non va rubata la speranza di poterle realizzare. Tuttavia,
l’ambizione non va confusa con la prevaricazione. Al contrario, occorre
gareggiare nello stimarsi a vicenda (cfr Rm 12,10). Anche nelle dispute,
che costituiscono un aspetto ineliminabile della vita, bisogna sempre ricordarsi
di essere fratelli e perciò educare ed educarsi a non considerare il prossimo
come un nemico o come un avversario da eliminare.
La fraternità genera pace sociale perché crea un equilibrio fra libertà e
giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà, fra bene dei singoli e
bene comune. Una comunità politica deve, allora, agire in modo trasparente e
responsabile per favorire tutto ciò. I cittadini devono sentirsi rappresentati
dai poteri pubblici nel rispetto della loro libertà. Invece, spesso, tra
cittadino e istituzioni, si incuneano interessi di parte che deformano una tale
relazione, propiziando la creazione di un clima perenne di conflitto.
Un autentico spirito di fraternità vince l’egoismo individuale che contrasta la
possibilità delle persone di vivere in libertà e in armonia tra di loro. Tale
egoismo si sviluppa socialmente sia nelle molte forme di corruzione, oggi così
capillarmente diffuse, sia nella formazione delle organizzazioni criminali, dai
piccoli gruppi a quelli organizzati su scala globale, che, logorando in
profondità la legalità e la giustizia, colpiscono al cuore la dignità della
persona. Queste organizzazioni offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e
danneggiano il creato, tanto più quando hanno connotazioni religiose.
Penso al dramma lacerante della droga, sulla quale si lucra in spregio a leggi
morali e civili; alla devastazione delle risorse naturali e all’inquinamento in
atto; alla tragedia dello sfruttamento del lavoro; penso ai traffici illeciti di
denaro come alla speculazione finanziaria, che spesso assume caratteri predatori
e nocivi per interi sistemi economici e sociali, esponendo alla povertà milioni
di uomini e donne; penso alla prostituzione che ogni giorno miete vittime
innocenti, soprattutto tra i più giovani rubando loro il futuro; penso
all’abominio del traffico di esseri umani, ai reati e agli abusi contro i
minori, alla schiavitù che ancora diffonde il suo orrore in tante parti del
mondo, alla tragedia spesso inascoltata dei migranti sui quali si specula
indegnamente nell’illegalità.
Scrisse al riguardo
Giovanni XXIII:
«Una convivenza fondata soltanto su rapporti
di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano
coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e
perfezionare se stesse».
L’uomo, però, si può convertire e non bisogna mai disperare della possibilità di
cambiare vita. Desidererei che questo fosse un messaggio di fiducia per tutti,
anche per coloro che hanno commesso crimini efferati, poiché Dio non vuole la
morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr Ez 18,23).
Nel contesto ampio della socialità umana, guardando al delitto e alla pena,
viene anche da pensare alle condizioni inumane di tante carceri, dove il
detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua
dignità di uomo, soffocato anche in ogni volontà ed espressione di riscatto. La
Chiesa fa molto in tutti questi ambiti, il più delle volte nel silenzio. Esorto
ed incoraggio a fare sempre di più, nella speranza che tali azioni messe in
campo da tanti uomini e donne coraggiosi possano essere sempre più sostenute
lealmente e onestamente anche dai poteri civili.
La fraternità aiuta a custodire e a coltivare la natura
9. La famiglia umana ha ricevuto dal Creatore un dono in comune: la natura. La
visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità
degli interventi sulla natura per trarne beneficio, a patto di agire
responsabilmente, cioè riconoscendone quella “grammatica” che è in essa
inscritta ed usando saggiamente le risorse a vantaggio di tutti, rispettando la
bellezza, la finalità e l’utilità dei singoli esseri viventi e la loro funzione
nell’ecosistema. Insomma, la natura è a nostra disposizione, e noi siamo
chiamati ad amministrarla responsabilmente. Invece, siamo spesso guidati
dall’avidità, dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello
sfruttare; non custodiamo la natura, non la rispettiamo, non la consideriamo
come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli,
comprese le generazioni future.
In particolare, il settore agricolo è il settore produttivo primario con
la vitale vocazione di coltivare e custodire le risorse naturali per nutrire
l’umanità. A tale riguardo, la persistente vergogna della fame nel mondo mi
incita a condividere con voi la domanda: in che modo usiamo le risorse della
terra? Le società odierne devono riflettere sulla gerarchia delle priorità a
cui si destina la produzione. Difatti, è un dovere cogente che si utilizzino le
risorse della terra in modo che tutti siano liberi dalla fame. Le iniziative e
le soluzioni possibili sono tante e non si limitano all’aumento della
produzione.
E’ risaputo che quella attuale è sufficiente, eppure ci sono milioni
di persone che soffrono e muoiono di fame e ciò costituisce un vero scandalo. È
necessario allora trovare i modi affinché tutti possano beneficiare dei frutti
della terra, non soltanto per evitare che si allarghi il divario tra chi più ha
e chi deve accontentarsi delle briciole, ma anche e soprattutto per un’esigenza
di giustizia e di equità e di rispetto verso ogni essere umano. In tal senso,
vorrei richiamare a tutti quella necessaria destinazione universale dei beni
che è uno dei principi-cardine della dottrina sociale della Chiesa
Rispettare
tale principio è la condizione essenziale per consentire un fattivo ed equo
accesso a quei beni essenziali e primari di cui ogni uomo ha bisogno e diritto.
Conclusione
10. La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata
e testimoniata. Ma è solo l’amore donato da Dio che ci consente di accogliere e
di vivere pienamente la fraternità.
Il necessario realismo della politica e dell’economia non può ridursi
ad un tecnicismo privo di idealità, che ignora la dimensione trascendente
dell’uomo. Quando manca questa apertura a Dio, ogni attività umana diventa più
povera e le persone vengono ridotte a oggetti da sfruttare. Solo se accettano di
muoversi nell’ampio spazio assicurato da questa apertura a Colui che ama ogni
uomo e ogni donna, la politica e l’economia riusciranno a strutturarsi sulla
base di un autentico spirito di carità fraterna e potranno essere strumento
efficace di sviluppo umano integrale e di pace.
Noi cristiani crediamo che nella Chiesa siamo membra gli uni degli altri, tutti
reciprocamente necessari, perché ad ognuno di noi è stata data una grazia
secondo la misura del dono di Cristo, per l’utilità comune (cfr Ef
4,7.25; 1 Cor 12,7). Cristo è venuto nel mondo per portarci la grazia
divina, cioè la possibilità di partecipare alla sua vita. Ciò comporta tessere
una relazionalità fraterna, improntata alla reciprocità, al perdono, al dono
totale di sé, secondo l’ampiezza e la profondità dell’amore di Dio, offerto
all’umanità da Colui che, crocifisso e risorto, attira tutti a sé: «Vi dò un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così
amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei
discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). È questa
la buona novella che richiede ad ognuno un passo in più, un esercizio perenne di
empatia, di ascolto della sofferenza e della speranza dell’altro, anche del più
lontano da me, incamminandosi sulla strada esigente di quell’amore che sa
donarsi e spendersi con gratuità per il bene di ogni fratello e sorella.
Cristo abbraccia tutto l’uomo e vuole che nessuno si perda. «Dio non ha mandato
il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per
mezzo di lui» (Gv 3,17). Lo fa senza opprimere, senza costringere nessuno
ad aprirgli le porte del suo cuore e della sua mente. «Chi fra voi è il più
grande diventi come il più piccolo e chi governa diventi come quello che serve»
– dice Gesù Cristo – «io sono in mezzo a voi come uno che serve» (Lc
22,26-27). Ogni attività deve essere, allora, contrassegnata da un atteggiamento
di servizio alle persone, specialmente quelle più lontane e sconosciute. Il
servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace.
Maria, la Madre di Gesù, ci aiuti a comprendere e a vivere tutti i giorni la
fraternità che sgorga dal cuore del suo Figlio, per portare pace ad ogni uomo su
questa nostra amata terra.
Dal Vaticano, 8 dicembre 2013
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