Eugenio Bennato,
fondatore del celebre movimento
Taranta Power
e accurato ricercatore della musica del Sud,
inforca la penna per scrivere la storia di una ballata,
quella scritta insieme a Carlo D’Angiò,
divenuta oramai un inno per migliaia di giovani
legati al mondo della musica folk e popolare.
Brigante se more,
composta su commissione nel1979 per lo sceneggiato
L’eredità della Priora di Anton Giulio Majano,
ha fatto conoscere a tutti la storia dell’emigrazione e del brigantaggio,
raccontando la ribellione della gente meridionale
all’invasione piemontese del 1860,
ma è diventata anche l’emblemadi tante altre storie di ribellione
e lotta e non asservimento alla retorica di Stato.
Il brano si è diffuso a macchia d’olio risvegliando questioni tenute
in poco conto nelle stanze della storiografia ufficiale,
tanto che qualcuno ha confusamente insinuato il dubbio
che la canzone sarebbe stata scritta un secolo prima,
non si sa dove e non si sa da chi,
e sono nate dispute e controversi e infinite circa la sua “reale” appartenenza.
Sull’onda di queste polemiche non documentate,
Bennato ha deciso di descrivere dettagliatamente
il percorso umano e creativo che lo ha portato alla composizione
di Brigante se more,
interfacciandosi anche con i suoni e i rituali del Sud
di ieri e di oggi e approfondendo, in un viaggio a ritroso
tra terre impervie e soleggiate, l’affascinante e triste storia
di alcuni tra i più combattivi briganti di fine Ottocento:
Ninco Nanco, Carmine Crocco, Michelina De Cesare,
personaggi dall’anima pura e implacabile che,
vivendo le loro vite di battaglia e rapina,
segnarono profondamente le divisioni e le lotte
che sarebbero venute in quella che ancora conosciamo come
“Briganti”
nasce nel febbraio 2000 attraverso un primo lavoro
di ricerca prettamente storico – sociale.
Studiando, leggendo e ricercando su libri di storia,
su testi di autori contemporanei
(uno fra tanti Tommaso Pedio),
e documenti rinvenuti in biblioteche,
è nata la volontà di rendere sottoforma teatrale,
di descrivere attraverso la messinscena,
quelle emozioni e quelle atmosfere vissute in questa prima fase del lavoro.
Il progetto infatti affronta le tematiche del
brigantaggio meridionale post-unitario (1860-61);
la scena si svolge in una cella delle carceri del ex- Regno delle Due Sicilie,
dove, attraverso le memorie di un giovane ventiseienne
caduto prigioniero in battaglia,
si rivivono avvenimenti ed episodi che hanno segnato
la vita delle popolazioni del Mezzogiorno d’Italia
prodotti dallo scontro fra il nuovo ordine costituito e reazionari.
L’intero universo dei fatti narrati trae spunto da documenti storici
di vicende realmente accadute e spesso tralasciate
dalla storiografia ufficiale.
Ad essi, però, si miscela il mondo della tradizione orale popolare
non privo di spunti fantastici.
Il testo trasforma in sogno realtà crudeli,
ironizza su temi, nostro malgrado, ancora vivi,
ponendo attenzione sulle radici “culturali” del problema,
cercando di non cadere in una retorica politica.
“L’ignoranza genera violenza, violenza genera violenza”
è uno dei principi che si intende trasmettere con il lavoro.
Un solo attore in scena con una sedia, cerca di manifestare un taglio
di una storia ancora per un certo verso negata,
ancora attuale e sicuramente universale;
mette in scena particolari, dettagli, racconti ispirati a
precise zone o personaggi storici evitando di chiudere
il tutto in una realtà spaziale circoscritta,
senza alcuna narrazione filologica della storia.
Scene e luoghi della memoria sono affidati al lavoro delle luci.
Alla vita di Carmine Crocco, alla quale molte biografie di eroi celebri
possono essere paragonate e alle sue scorribande nelle province lucane,
è liberamente ispirato il lavoro,
in quanto testimone di ribellione come reazione e non rivoluzione.
“Noi siamo come la serpe, se non la stuzzichi non ti morde”.
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